Donne che temono le donne

Ho finito di leggere recentemente due libri molto divertenti che mi hanno entusiasmato e fatto riflettere, entrambi di Chiara Moscardelli, in cui l’autrice racconta di aver desiderato per tutta la sua gioventù di essere una gatta morta e invece col trascorrere degli anni, una volta superata la quarantina, di poter dire di essere una vedova invece che una donna single.

Nel primo romanzo “Volevo essere una gatta morta” attraverso bizzarre e surreali esperienze di vita, ma appunto perché paradossali molto credibili, l’autrice porta avanti un pensiero che si potrebbe così sintetizzare “la gatta morta ha vita facile”.
Nel secondo romando invece “Volevo essere una vedova” la scrittrice racconta di come sia difficile per una donna ad un certo punto della vita affermare la sua singolarità e singletudine e di come risulterebbe a volte più semplice far credere che l’essere sole non sia una scelta, ma il frutto di un destino tragico.

In questo vorrei quindi concentrami sui ruoli che le donne assumono nelle relazioni affettive.

Nel linguaggio comune si definisce gatta morta colei che usa la seduzione e si mostra fragile e passiva con “il maschio” per ottenere ciò che vuole e legarlo a sé. E sono proprio le donne che spesso utilizzano questo termine per descrivere altre donne che secondo loro agiscono comportamenti di finta sottomissione per circuire il maschio di turno, il tono usato è di squalifica, o a volte di invidia, ma intesa anche in un senso positivo di desiderio, ovvero di volere per sé quella che viene considerata un’abilità o una dote.

Donne di successo, che detengono posizioni di potere, che lavorano con l’intelletto e dotate di un senso pratico che le fa svettare in alto nel mondo del lavoro spesso mi raccontano di come si sentano inadatte nel ruolo della seduttrice e di come siano viste invece nei rapporti affettivi più come amiche, compagne o di supporto all’altro. E spesso nei loro racconti mi dipingono in maniera negativa “l’altra”, ossia “quella che fa più colpo di loro sugli uomini” o che “gli porta via” l’oggetto del desiderio con mezzi descritti come più o meno leciti.

Queste narrazioni mi fanno sempre a pensare a come sia inevitabile, ma anche di quanto diventi fonte di rigidità e di mal adattamento, ricoprire un unico ruolo nella propria vita privata (anche in quella lavorativa, ma per ora concentriamoci sul privato).

Giorgio Nardone parla di copioni in amore e nel libro “Gli errori delle donne (in amore)” ci racconta storie emblematiche volutamente tragiche di donne che non riescono ad uscire dal loro copione relazionale e commettono sempre le stesse scelte e i medesimi errori. Vi descrivo ora due copioni dal libro di Nardone sopracitato che mi sembrano emblematici in relazione alla questione in oggetto nell’articolo, ovvero quello della la seduttrice e quello della traghettatrice.

La seduttrice si presenta come una donna che ammalia e che con il suo fascino tiene in scacco l’uomo, con le sue arti riesce a far cadere ai suoi piedi molti uomini suscitando l’invidia o l’ammirazione delle altre donne e l’amore o il disappunto degli uomini.

Nemesi della seduttrice è la figura della traghettatrice, descritta come una donna in gamba e di successo che si prodiga a far realizzare e a supportare il partner, spesso meno dotato di lei o comunque meno deciso e determinato. 

Tuttavia come tutti i ruoli rigidi entrambi hanno il loro contrappasso e se la seduttrice può rimanere intrappolata nella sua stessa tela di seduzione e finire manipolata da un seduttore più incallito di lei, la traghettatrice può doversi misurare con uomini che sanno solo prendere e mai donare e che infine l’abbandonano una volta condotti al di là delle acque agitate in cui si trovavano.

Come terapeuta ritengo che siamo tutti predisposti a identificarci con alcuni modelli che abbiamo appreso nella nostra vita (in famiglia, dagli amici, dalla società) e tutto ciò è naturale. Diventa tuttavia disfunzionale quando i suddetti modelli diventano unici ed esclusivi ed irrigidiscono il nostro modo di pensare o agire (a tal punto che non li mettiamo in discussione o non sappiamo nemmeno di averli) e compromettono le nostre possibilità di scelta rendendoci infelici. 

Sempre come professionista credo che un lavoro su se stessi aiuti a comprendere dove abbiamo appreso certi modelli e ci dia la possibilità di dismetterli se non ci corrispondono più e soprattutto la terapia ci può aiutare a raccontarci in modo diversi e quindi ad esempio non più solo come delle seduttrici incallite o come delle traghettatrici tout court.

Come donna ritengo invece che dobbiamo essere in primis noi donne a combattere alcuni cliché sul nostro genere. 

A volte utilizzare un linguaggio di un certo tipo verso altre donne squalificandole per alcuni loro aspetti, che ci creano repulsione- ci attirano o entrambe le cose, ci rende solo più fragili!

Tutte possiamo e dobbiamo lavorare sul nostro potenziale per essere donne di successo, inteso come
donne realizzate, ma anche dobbiamo e possiamo anche lavorare sul nostro potenziale per essere
donne che seducono, intese donne che attraggono a sé dalla vita quanto di meglio c’è per loro.

Per approfondire

Nardone, Gli errori delle donne in amore, Saggi Ponte alle Grazie.
Moscardelli, Volevo essere una gatta morta, Giunti Editore.
Moscardelli, Volevo essere una vedova, Einaudi.

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